
Il primo modello che tenta di schematizzare la formazione negli individui di determinati atteggiamenti è la “teoria dell’aspettativa-valore” che, prendendo spunto da un modello probabilistico degli anni Sessanta, viene concepito dapprima da Fishbein e successivamente in collaborazione con Ajzen (nel 1975).
In questo modello la componente cognitiva dell’atteggiamento, ossia quella generata dalle nozioni e dalle conoscenze presenti nell’individuo, occupa un ruolo centrale. In sostanza, l’atteggiamento di una persona nei confronti di un oggetto, un’azione o un altro gruppo sociale può essere considerato come la sommatoria delle conoscenze che il soggetto in questione possiede. Questo insieme di conoscenze, dato che sono potenzialmente suscettibili di confutazione, sono definite come credenze e sono costituite da due fattori: l’aspettativa ed il valore.
L’aspettativa, naturalmente, descrive la percezione dell’individuo che un determinato oggetto considerato possegga determinate caratteristiche o che una azione produca delle determinate conseguenze. Questo fattore, nel modello probabilistico della teoria dell’aspettativa-valore, può presentarsi in due qualità: positiva o negativa. Quindi, nel giudicare un determinato oggetto o azione, se ne valuterà l’aspettativa che ciò che si pensa al riguardo si realizzi o meno.
In sostanza, dovendo affidarci ad un consulente per un’assistenza che ha per noi grande valore, valuteremo prima di tutto l’aspettativa che quello specifico consulente possa darci dei consigli effettivamente validi e che ci possano portare al nostro obiettivo di partenza. Questa valutazione può essere positiva in quanto la riteniamo sicura (punteggio 1), e quindi ci aspettiamo che il consulente esegua in maniera corretta la sua funzione, o negativa in quanto la riteniamo impossibile (punteggio 0), credendo che quest’ultimo non sia in grado di apportarci l’aiuto necessario. E, tra questi due punteggi, tutti i valori intermedi possibili.
Il secondo fatto, il valore, definisce invece la potenza e la desiderabilità del nostro obiettivo iniziale. Ovvero: qualora dovessimo chiedere l’aiuto di un medico per una certa malattia da cui siamo affetti, l’entità e la percezione che abbiamo della malattia e del nostro bisogno di curarla costituisce il valore dell’obiettivo. Questo fattore può assumere un punteggio che va -3 a 3.
Se, ipoteticamente, abbiamo una febbre di entità mediocre ma sufficiente a non farci andare al lavoro, e per indole si è poco dediti alla fatica, contattare un medico che ci curerà permettendoci di andare al lavoro non ci piacerà particolarmente ed il valore assumerà un punteggio negativo che va da -3 a -1, posto che preferiamo sorbirci l’influenza piuttosto che lavorare.
Se, invece, siamo parecchio votati alla produzione e l’influenza proprio non la sopportiamo, il valore assumerà presumibilmente un punteggio positivo.
Avendo analizzato queste due componenti dell’atteggiamento, secondo il modello della teoria dell’aspettativa-valore si procede a quello che è un vero e proprio calcolo matematico che ci indica la probabilità che un determiato comportamento venga realmente assunto. Questa operazione consta della semplice moltiplicazione del punteggio dell’aspettativa con quello del valore (per questo, la teoria è anche indicata spesso con “aspettativa per valore”).
Questo modello verrà elaborato più volte specialmente da Ajzen, mosso dalle numerose critiche mossegli contro, e approfondirà diversi versanti dell’analisi. L’evoluzione di questo modello sarà l’oggetto dei primi articoli di questa rubrica.
Pur offrendo un particolare punto di vista con cui guardare questo oggetto di studio, l’approccio di Fishbein ed Ajzen appare pseudoscientifico in quanto applica a dinamiche umane e sociali delle regole matematiche che non sono in grado di racchiudere le innumerevoli variabili del comportamento umano. Primi fra tutti, ci sono da considerare i comportamenti che si possono dire “irrazionali”.
Ma, vedremo, sarà una criticità messa in discussione e che porterà a nuovi risultati e nuove elaborazioni.