
Dopo aver passato in rassegna i più importanti tra i vari modelli che descrivono l’atto comunicativo con la serie Informazione e Comunicazione, con questa rubrica ci poniamo l’obiettivo di esplorare un oggetto di studio particolarmente complicato e, spesso, contraddittorio: la strana relazione tra un atteggiamento ed il relativo comportamento.
In quale senso? Ora lo vediamo.
Spesso ci ritroviamo ad affermare determinate opinioni nel merito di certi argomenti, di certe ipotetiche situazioni che potrebbe capitarci di incontrare. Non sempre questi atteggiamenti, nel momento in cui davvero ci troviamo nella situazione in questione, divengono reali e accade spesso che i nostri comportamenti siano in contraddizione con quello che, in un’altra occasione, avevamo affermato. A differenza di quanto potrebbe sembrare, quindi, non esiste una diretta correlazione tra gli atteggiamenti che vengono mostrati e con cui ci identifichiamo rispetto ai comportamenti reali che mettiamo in pratica ogni giorno o in determinate circostanze.
E’ una dinamica in cui spesso rientriamo in prima persona, molti di noi, senza rendercene conto. Non per questo c’è da sentirsi degli innati ipocriti, piuttosto c’è da accettare una realtà che può darci modo di osservare meglio non solo le nostre contraddizioni personali, ma anche di prendere in maniera diversa affermazioni, attitudini e giudizi palesati da altre persone che spesso contrastano con la realtà dei fatti che compiono.
E, per spiegarci su questo, vale la pena riportare il primo e importante studio condotto in merito e che si lega fortemente anche ad eventi che, tutt’oggi, vediamo attorno a noi: si tratta dello studio svolto nel 1934 da Richard LaPiere, sociologo statunitense che insegnò all’università di Stanford.
Lo studioso girò per due anni gli Stati Uniti accompagnato da una coppia di etnia cinese, visitando un totale di 251 alberghi e ristoranti. All’epoca il razzismo aveva una gravità ben diversa da quella di oggi, soprattutto un modo di palesarsi differente ed una legittimità considerevole nei confronti dell’opinione pubblica. Non c’era da vergognarsi nel dirsi razzisti, in sostanza. A voi gli spunti sull’oggi.
Nel corso di questi due anni il trio fu rifiutato da una sola impresa per il motivo, appunto, dell’etnia cinese dei clienti. Dopo aver compiuto questa fase dell’esperimento, potremmo dire, LaPiere inviò dei questionari a tutte le attività visitate nel corso del viaggio chiedendo loro: “Will you accept members of the Chinese race in your establishments?”. Le risposte disponibili erano “Sì”, “No” e “Dipende dalle circostanze”.
A fronte di una sola attività che, realmente, aveva respinto i clienti nel corso del viaggio, risultò che dalle risposte raccolte (128 in totale) il 92% si dichiarava non disponibile a offrire servizi a persone di origini cinese. Appare qui evidente che la coerenza tra atteggiamento e comportamento nei confronti di una stessa azione è profondamente problematica.
Questa fu l’esperienza che diede il via agli studi riguardanti la relazione tra atteggiamento e comportamento.
E per cominciare è bene definire fin da subito il concetto di atteggiamento, dandogli un contorno più delineato: per atteggiamento si intende il
“comportamento assunto da una persona o da una collettività in una determinata circostanza o nei riguardi di altre persone e collettività, o anche rispetto a fatti, dottrine, problemi.”
(Enciclopedia Treccani)
E’ quindi, in sostanza, il modo di porsi di fronte ad un certo soggetto/oggetto.
Le peculiarità attribuite all’atteggiamento sono, principalmente, tre:
- una “cognitiva”, frutto delle credenze e delle ideologie sedimentate attraverso la socializzazione;
- una “affettiva”, determinata dalle disposizioni sentimentali e più vicine a ciò che può essere definito come irrazionale;
- una “comportamentale”, che consta proprio della spinta reale a produrre azioni sulla base dell’atteggiamento in questione.
Portando un esempio nostrano, che certamente inquadra questo problema da un punto di vista leggermente differente ma che espone delle caratteristiche che ci sono utili a definire l’oggetto di studio, è bene fare riferimento allo studio di Antonio Gramsci nei Quaderni del carcere, in particolare per quanto riguarda la letteratura popolare e, precisamente, il commento fatto al “Conte di Montecristo” di Dumas.
Secondo il pensatore italiano il romanzo francese narrante le vicende di rivalsa del Conte di Montecristo ebbe gran fortuna presso il pubblico popolare in quanto metteva in scena azioni vendicative e di scontro da parte di un soggetto umiliato e offeso, citando Dostoevskij, nei confronti dei propri oppressori. Eppure le classi popolari italiane non si sono mai contraddistinte per un effettivo comportamento di scontro, rivendicazione o rivolta nei confronti degli oppressori.
Proprio in questo fattore Gramsci riconduce una scissione inconsapevole tra l’atteggiamento, le spinte interne, verso un fattore reale e le reali azioni condotte quotidianamente.
La scissione tra atteggiamento e comportamento non è certo una costante o una regola: spesso accade il contrario. Ciò non toglie che la contradditorietà tra queste due facce di una stessa medaglia è riscontrabile sia in una dimensione maggiormente individuale e personale che in una dinamica di carattere più ampio, sociale.
Nel corso di questa rubrica prenderemo in esame alcuni studi che descrivono i meccanismi che sottendono la relazione tra atteggiamento e comportamento e le dinamiche attraverso cui questa può cambiare.
Bibliografia:
– Psicologia della comunicazione, A. Toni (2012)
– Quaderni del carcere, A. Gramsci (1975)