
Gioele è un tipo di poche parole. Ma sul suo quaderno scrive storie lunghe e intricate di misteriosi animali, leoni domestici, anaconde e ragni-lupo. Disegna anatre che cucinano e zebre a strisce colorate. Gioele ha un punto di vista. E dal suo punto di vista, il cavallo nitrisce e le galline coccodano.
Dentro, Gioele ha un mondo intero. Solo che nel suo mondo non si può entrare. Gioele è autistico, che è un po’ come essere una casa senza porta: dall’interno non si esce, e da fuori non si sa come varcare la soglia.
Basterebbe l’introduzione di Irene Alison, photo editor di Gioele quaderno del tempo libero, per capire perché questo libro non è solo un libro fotografico, e perché le foto non sono solo foto. Innanzi tutto quella di Gioele non è la storia di un bambino autistico: è la storia di un incontro. Quello fra il soggetto del racconto e il suo narratore, tra Gioele e Fabio Moscatelli. Ma – perché no – anche tra Gioele e il lettore.
Se si approccia al libro con l’intenzione di trovarci dentro il ritratto di una disabilità, si resterà delusi. L’intento dell’autore era quello di raccontare l’altra faccia dell’autismo: la fantasia, la vita, il mondo di un bambino un po’ più speciale degli altri. Lo si fa coi colori e con foto che non hanno nulla di didascalico: la testa di Gioele è un foglio bianco all’esterno, ma dentro contiene un mondo intricato difficile da penetrare. La scelta di sovrapporre diversi formati fotografici all’interno del libro, e addirittura uno sopra l’altro, crea un effetto di sorpresa nel lettore. Gioele è qualcosa, ma anche altro. Come il suo mondo, la sua famiglia, le sue relazioni, la sua vita domestica e non. “Il complimento più bello che mi è stato fatto su questo libro è quello di una persona che mi ha detto questo bambino non sembra autistico” racconta spesso Moscatelli.
Gioele nasce a due mani e finisce a quattro. “Un giorno Gioele mi ha chiesto di fare lui le foto. Ma non di quelle che si vedono subito, ha puntualizzato”. Gioele voleva scattare su pellicola, e Moscatelli lo ha accontentato. Nel libro compaiono gli scatti di Gioele, prima all’interno del testo, con i filtri, poi in fondo, su adesivo. Il lettore può scegliere di attaccarle sul piccolo quadernino che si trova alla fine del libro, legato con un elastico che non è mai uguale a quello della copia di un altro lettore. E accanto alle foto, può decidere di inserire anche i disegni di Gioele, quelli degli animali, con i loro versi e le descrizioni.
Piaccia o no, è questo uno dei punti di forza del libro: la costante ricerca di un’interazione con il lettore. C’è chi può trovare fastidioso l’eccesso di personalizzazione di una singola copia: eppure nelle 250 stampate non ce n’è una uguale all’altra: tutte sono timbrate e numerate, per essere esemplari unici, coi loro elastici colorati e la rilegatura a spirale metallica, che dona al libro un grande senso di fragilità, costringendo a sfogliare delicatamente le pagine, a guardarle una per una, lentamente.
Gioele è giunto alla sua seconda e ultima ristampa, non ne seguiranno altre. Lascia il posto a The last exit, lavoro decisamente più intimo e personale, di cui si conteranno solo trenta copie, rilegate rigorosamente a mano. Ne parleremo più avanti, ma questa – decisamente – è un’altra storia.