Il Canovaccio - Il paesaggio, Loomen Studio, Roma

Lo studio del paesaggio è da sempre al centro della ricerca degli artisti che si occupano di linguaggi visivi e la sua correlazione con gli individui che lo vivono è stata oggetto di studio di fotografi e registi tra i più importanti.

Partiamo dall’inizio: cosa si intende per paesaggio? Per la ricerca che prenderò in esame sicuramente non mi soffermerò sul suo studio descrittivo o sulla sua connotazione relativa a determinati elementi oggettivi, quanto piuttosto su quella che è la sua percezione.

Quando si parla di paesaggio si intende quindi l’unione di più elementi, quello visibile e, soprattutto, quello non visibile. Questa differenza è data sostanzialmente dalla capacità di ognuno di noi di vedere, attraverso quella che è la nostra cultura e il nostro vissuto, qualcosa che va al di là del semplice dato oggettivo. Ecco che diventa quindi un luogo di esperienze soggettive, un luogo che parla al nostro inconscio e che ci permette di viverne aspetti che diversamente sarebbero esclusi dalla sua descrizione. La soggettività passa quindi in primo piano e le innumerevoli stratificazioni emotive vengono a galla dando al paesaggio la possibilità di avere tanti aspetti quanti sono gli sguardi che lo interpretano.

Un maestro in questo senso è stato Luigi Ghirri, la cui produzione è inscindibile dallo studio del paesaggio. Ghirri ha usato la fotografia per guardare dentro e oltre le cose e questa sua poetica diventa palese nella serie Atlante in cui, attraverso le pagine di un atlante appunto, la rappresentazione del mondo si sostituisce al mondo stesso, costringendoci ad immaginare quello che stiamo guardando perché privi di punti di riferimento oggettivi se escludiamo simboli e parole. Il nostro modo di immaginare il mondo diventa quindi estremamente soggettivo perché dato solamente dalla memoria e dall’immaginazione. Ecco quindi che le sensazioni che arrivano sono quelle date dalle esperienze di chi quel territorio lo sta guardando

“In fondo, in ogni visitazione dei luoghi, portiamo con noi questo carico di già vissuto e già visto, ma lo sforzo che quotidianamente siamo portati a compiere, è quello di ritrovare uno sguardo che cancella e dimentica l’abitudine; non tanto per rivedere con occhi diversi, quanto per la necessità di orientarsi di nuovo nello spazio e nel tempo.”

(L. Ghirri, Pesaggio italiano, Milano 1989)

Anche Tarkovskij ha sempre utilizzato il paesaggio in modo evocativo e ben lontano dal farne uno strumento puramente descrittivo. Lo spazio in cui decide di far muovere i suoi personaggi è sempre uno spazio in cui il non visibile prevale sul visibile, utilizzandolo per descrivere l’interiorità e l’emotività dei soggetti. Si pensi ad esempio a Stalker, in cui il paesaggio è un chiaro ritratto non solo dei personaggi che si muovono nella scena, ma di tutta quanta l’umanità che in quel momento si trova costretta sd affrontare una serie di problematiche a cui non è pronta. Ecco che il paesaggio diventa insidioso e inospitale e solo lo Stalker sembra essere preparato per affrontarlo, seppur con molta difficoltà, mentre gli altri non possono che affidarsi a lui per non esserne sopraffatti.

Così come in Stalker, anche in Solaris è il paesaggio il vero protagonista della pellicola, ed è di lui che si parla per tutta la durata del film. Sono sue le azioni ed è lui il motivo per cui i personaggi agiscono, è lui che decide tutto. E’ “l’oceano pensante” che costringe i personaggi ad un doloroso viaggio interiore e che li mette in contatto con le loro pulsioni più profonde, ed è solo grazie a lui che sappiamo cosa realmente vogliono e cosa realmente pensano.

Cosa è quindi il paesaggio? È un luogo della memoria, è un luogo interiore, è qualcosa che ci permette di capire più a fondo noi stessi, basta porsi con sensibilità nei suoi confronti ed essere pronti a capirne i significati e le visioni più profonde.