Il ritratto fotografico ha portato di fronte ad un gran numero di persone un genere già molto utilizzato in pittura. Un genere complesso, perché la buona riuscita di un ritratto è qualcosa che va oltre al senso estetico o alla capacità tecnica del fotografo. Quello che emerge da un ritratto affonda le radici nella psicologia, e non può prescindere in alcun modo dal rapporto che viene a crearsi fra il fotografo e il soggetto nel breve tempo dello shooting.

La relazione fra i due è mediata da due ordini di elementi: la naturale connessione che viene a crearsi nell’incontro di due esseri umani e una serie di scelte a senso unico – le luci, il soggetto, la posizione, la macchina, l’inquadratura – che creano una certa separazione fra di loro.

È possibile, a partire dagli stessi elementi, creare due linguaggi radicalmente diversi, esprimendo sensazioni e atmosfere molto distanti? A giudicare dai lavori di due grandi ritrattisti – Irving Penn e Nigel Parry – sì.

Tra armonia e tagli netti

Irving penn è considerato da molti uno dei maestri tra i fotografi di moda – sono sue tante copertine di Vogue – eppure è stato innanzi tutto un grande sperimentatore. I suoi ritratti più recenti si avvicinano molto a quelli che saranno i principali lavori di Nigel Parry, con tagli profondi e imprevisti e immagini forti che riempiono l’inquadratura.

Eppure, i suoi primi ritratti e le sue composizioni di gruppo nascono sotto il segno dell’armonia. Le figure riempiono la scena senza invaderla in modo prepotente, ma delineando linee morbide. Il triangolo, richiamato giocoforza dalle “quinte” da cui si affacciano i soggetti, è la geometria più presente. Le mani sono parte della scena, un elemento grafico che aiuta la composizione e i volumi.

Anche Nigel Parry introduce l’elemento delle mani nei suoi ritratti, ma lo fa in modo netto, prepotente. Le deforma, spesso, nel creare delle posture funzionali alla scena: tagli netti, violenti, che lasciano molto spazio a tutto quello che è fuori dal fotogramma, fuori dalla portata dell’occhio.

Perché parlarne ancora oggi

Perché gli scatti di Irving penn non smettono di stupire, anche dopo averli guardati più volte. Perché dai fotogrammi emerge ogni volta un dettaglio diverso. Perché l’armonia delle forme continua ad insegnare, ancora oggi, molto a chi ama il ritratto e la composizione.

E perché Nigel Parry ha interiorizzato tutto questo, andando oltre e agendo ogni volta per sottrazione: i suoi scatti dicono tanto con molto meno, sanno catturare l’attenzione e raccontare il soggetto con un forte impatto visivo, utilizzando elementi molto scarni.

Dietro a questi due fotografi ci sono pochissimi artifici tecnici ma una visione del mondo molto netta, che emerge da ogni scatto in modo diverso. E che si rende capace di sperimentare in modo originale quella straordinaria forma di (auto)analisi che è il ritratto.