Uno dei primi modelli teorici della comunicazione è stato realizzato a metà del Novecento da due ingegneri delle telecomunicazioni. Shannon e Weaver lavoravano infatti presso quella che all’epoca era la più grande compagnia telefonica del mondo: la Bell.

Il “modello matematico-informazionale”, concepito inizialmente da Shannon, aveva come obiettivo la sistematizzazione di una teoria che desse modo di rendere più efficienti i sistemi telefonici, partendo dagli elementi essenziali di un processo comunicativo: la fonte (soggetto A), il codificatore, il canale, il recettore ed infine il ricevente (soggetto B).

Questo modello prendeva in esame due aspetti principali di un atto comunicativo: il “codice” utilizzato, ossia la lingua parlata, e il “rumore”, inteso come la componente di interferenza che offusca la percezione del messaggio.

La teoria non era stata concepita certo per le dinamiche comunicative umane, sebbene fu trasposta in fretta per descrivere alcune corrispondenze tra la “telefonia” comunemente intesa e la comunicazione umana in senso più stretto.

In questo senso, il “codice” può essere inteso come il codice linguistico, e/o simbolico, impiegato dal soggetto A per inviare un messaggio al soggetto B: un linguaggio che, per essere inteso e compreso dal destinatario, deve essere comune e condiviso. Il “rumore”, invece, era concepito originariamente come le interferenze elettromagnetiche sulle linee telefoniche.

Parlando di comunicazione umana, del messaggio che si vuole trasmettere attraverso un testo, un quadro, una foto o un semplice gesto, le riflessioni potrebbero essere non poche.

Trovandoci di fronte a una foto o a un’immagine realizzata da un ipotetico soggetto A, come la percepiremmo? Per mezzo di quali strumenti potremmo capirla?

Nelle immagini, la maggior parte della comunicazione è affidata ad elementi di tipo simbolico: elementi che rimandano a un altro significato, una relazione che lega un oggetto materiale o visibile a un’idea astratta, che il più delle volte è il messaggio che quel fotografo, o quel pittore, voleva trasmettere.

Usando come spunto d’analisi il modello matematico-informazionale, e concentrandoci in particolare sulle nozioni di “codice” e “rumore”, potremmo ritrovare qualche punto di collegamento con questo tipo di comunicazione.

Il codice comunicativo deve essere comune e condiviso in quanto è il mezzo con cui parlante e ascoltatore posso entrare in contatto e carpire i significati che l’uno indirizza all’altro. Ci deve essere un bagaglio comune che permetta una sorta di empatia, che leghi l’oggetto rappresentato dall’artista all’idea che egli voleva trasmettere.

Il rumore è invece qualcosa di esterno, poco visibile, che interferisce con la traduzione del messaggio. E’ qualcosa che ne offusca l’identità e ne rende più difficile l’ “ascolto”. Nel corridoio di un’esposizione artistica, le voci e i movimenti degli astanti potrebbero essere, in qualche modo, “rumore”? Oppure sono i nostri pensieri che, fluttuando nella nostra testa mentre guardiamo un’opera e ci lasciamo catturare dalle sue suggestioni, ci rendono più inquinata la comprensione?

Ci distanziano dall’oggetto, ci distraggono dall’immagine non permettendo che un ascolto profondo e silenzioso ci dia modo di scovarne i significati sottostanti, lasciandoci invece impressa un’idea che rimarrà ferma al ricordo degli oggetti materiali e concreti che abbiamo visto, ma che non scende in profondità e non svela ciò che non abbiamo ascoltato.

La contemplazione è “guardare a lungo, osservare con attenzione cosa che desti meraviglia o ammirazione”, oppure ancora “meditare, considerare, fissare il pensiero su qualcosa”: è forse questo che possiamo intendere con l’assenza del rumore?