
Se la fotografia è effettivamente lo specchio della realtà, quanto valgono dei ritratti “in posa”? In parte è stata questa la domanda che ha dato origine ad Hustlers, il lavoro datato 1990-‘92 di Philip Lorca di Corcia, in cui un valore ad ogni foto viene addirittura assegnato.
Chris, 28 anni, Los Angeles, California, 30 dollari. Le didascalie che compongono la serie Hollywood raccontano tutto di quello scatto: il nome del soggetto, la sua provenienza, il compenso richiesto per la foto. Tutto, tranne a cosa servono quei soldi: quella domanda, per scelta, rimane sospesa.
Gli Hustlers di Lorca DiCorcia non sono esattamente dei passanti: sono i Boystown di Los Angeles, ragazzi che per vivere si prostituiscono. Il fotografo li avvicina, li mette in posa, infine li paga. Sono gli anni ’90, il Boulevard trafficato regala all’obiettivo della sua macchina visi molto diversi tra loro. La luce, provata in precedenza con un assistente, racconta delle storie, e poco importa che siano reali o fittizie.
Qualche anno dopo, nel ’98, Theresa Hubbard e Alexander Birchler lavorano a Stripping, una serie di scatti realizzati in formato 6×7 e pellicola da 120, in cui i soggetti, ugualmente in posa, aprono ad altre domande: non più cosa c’è dentro i soggetti, quali motivazioni, quale storia nascosta, ma cosa c’è oltre.
La luce: disegnare spazi, costruire storie
In entrambi i casi l’uso della luce è estremamente cinematografico. Le storie che vengono costruite attorno ai soggetti sono astratte dal tempo e dallo spazio, proprio come in un film. La scena dei soggetti di Lorca DiCorcia costruisce una narrazione attraverso le domande. Gli uomini di Hustlers sono resi interessanti non solo da ciò che non dicono, ma forse proprio da ciò che non hanno mai detto o compiuto.
Tanto immersi nel contesto sono i soggetti di Hustlers quanto fuori dalla scena sono quelli di Stripping: se i primi sono i portatori della storia, i secondi vi si inseriscono in un secondo momento, quasi a forza. I corpi compaiono, ma sembrano sospesi nel tempo e nello spazio, come su un’immaginaria soglia. C’è un dentro e c’è un fuori, e la domanda non è più chi sono i soggetti, ma cosa nascondono oltre sé stessi.
La cosa che emerge in modo più prepotente è l’ambiguità disegnata dalla luce: nel primo caso i ritratti delineano volti, i volti delineano storie e contesti. Nel secondo i fotografi costruiscono un set e preparano gli scatti ricercando l’ambiguità all’interno del fotogramma, sottratto ad una sceneggiatura in cui il soggetto va ad inserirsi.
Il potere del cinema e della finzione si fonde, insomma, con quello dell’immagine statica.