
Quel che conta è l’idea non la macchina fotografica
In questo dettame è racchiusa la filosofia di Man Ray, uno dei più famosi interpreti del movimento Dadaista mondiale.
Emmanuel Rudnitzky (questo il suo vero nome) nasce nel 1890 a Filadelfia ma cresce a New York dove la famiglia si era trasferita cambiando il cognome in Ray. Il giovane Man Ray frequenta la Boys High School a Brooklyn con ottimi risultati ma rinuncia alla borsa di studio che gli aprirebbe le porte dell’Università dove studierebbe architettura, scegliendo di dedicarsi all’arte e lavorando come disegnatore e grafico dal 1908.
Manny, come viene chiamato sceglie di firmarsi Man Ray e acquista una macchina fotografica solo per immortalare le sue opere e nel 1915 ha modo di conoscere Marcel Duchamp divenendone amico e con il quale darà inizio al movimento Dada negli Stati Uniti.
Sarà nel 1919 che inizia a ritoccare le sue foto attraverso uno strumento usato dai grafici per correggere le imperfezioni fotografiche: l’aeropenna.
L’esperimento dadaista che rappresenta un totale rifiuto dell’arte come concepita fino ad allora, si rivela un fallimento tanto che dopo il primo numero di ‘New York Dada’, la rivista cessa le pubblicazioni e convince Man Ray a partire per Parigi insieme a Duchamp che, nella capitale francese, lo introdurrà nei salotti culturali presentandogli gli artisti più importanti dell’epoca.
La sua attività di fotografo ritrattista inizia a riscuotere un successo imprevisto e sono molti gli artisti e i personaggi famosi che posano davanti alla sua macchina fotografica : da Stein a Joyce passando per Cocteau.
Qualche anno più tardi, Man Ray crea quelli che sono definiti i ‘rayographs’, ossia foto realizzate posando direttamente gli oggetti da riprendere sulla carta sensibile. La sua è una casuale scoperta che avviene in camera oscura dove stava sviluppando delle foto e un foglio intonso si mischia con gli altri. Resosi conto dell’intruso, Man Ray senza alcuna intenzione, vi pone sopra degli oggetti di vetro che formano delle immagini deformate tanto da apparire come in rilievo.
Il fotografo surrealista
Pur collaborando come fotografo di moda per la rivista Vogue, nel 1924 Man Ray si produce in una ricerca sperimentale mentre nella sua vita privata entra in scena Kiki di Montparnasse, al secolo Alice Prin, una soubrette della quale si innamora e che sarà la sua prediletta musa ispiratrice.
Anche la settima arte vede le sperimentazioni di Man Ray che è autore di un film d’avanguardia (Retour à la raison) che sarà proiettato durante la prima mostra surrealista di Parigi ospitata alla galleria Pierre dove saranno esposte opere di Arp, Masson, Picasso, Ernst e Miró.
L’esperimento cinematografico continua due anni dopo con Anemic cinema, diretto insieme all’amico di sempre, Duchamp; seguito da altre pellicole che saranno generatrici del genere surrealista.
Man Ray ha anche l’occasione di ritrarre Méret Oppenheim, una celebre artista surrealista, in una serie di scatti dove la donna posa nuda in piedi a lato di un torchio tipografico.
Ma le opere di Ray sono davvero tante e, sicuramente tra le più famose ci sono la foto intitolata ‘Le violon d’Ingres’ in cui si vede la schiena nuda della modella (Kiki di Montparnasse) ritoccata in fase di stampa da due aggiunte che imitano il simbolo della chiave di violino; e le ‘Lacrime di vetro’ in cui delle gocce di vetro sono posate su di un vero volto.
Ray, dopo aver sperimentato diverse tecniche, introduce quella della solarizzazione che è un effetto capace di ‘incorniciare’ le figure ritratte con una sorta di alone che permetteva un effetto metafisico ed etereo.
Rientrato negli Stati Uniti a causa della Seconda Guerra Mondiale date le sue origini ebraiche, Ray si insedia a Los Angeles dove, oltre ad esporre, insegna fotografia e pittura. Al termine del conflitto rientra però a Parigi dove si stabilisce definitivamente nel quartiere di Montparnasse, dove morirà nel 1976, l’anno dopo l’esposizione delle sue opere alla Biennale di Venezia.