Il bianco e il rosso rappresentano due gradi cromatici di fondamentale importanza. Li ritroviamo in ogni contesto ed entrambi sono alla base della teoria riduzionista che, quindi, li pone come “necessari”.

Partendo dal rosso ci accorgiamo, senza nemmeno argomentare più di tanto, quanto la stessa esperienza umana primordiale ha influenzato la costruzione dell’immagine del “rosso”: rosso è il sangue, per esempio. Rosse, inoltre, erano le prime pitture rupestri nelle caverne. Per non parlare del fuoco o delle interiora umane. Insomma, il rosso è una tinta fondamentale in natura (per noi) e rappresenta un punto di riferimento irrinunciabile.

Fatto sta che nel corso della storia questo colore ha vissuto non poche turbolenze e macchinazioni sociali, tanto da venire ad assumere con il tempo dei significati spesso contraddittori o diametralmente opposti. E’ pur vero che, anche intuitivamente, argomenti come il sangue si prestano facilmente a letture ambivalenti, in cui il sangue può essere il nostro o quello di qualcun altro, banalmente. Ciò che ci interessa però è mettere a confronto il rosso che, sia nella terminologia “positiva” che in quella “negativa”, rappresenta idealmente la rottura con l’ordinario e il piatto. In antichità rosse erano le cariche dei poteri romani, spesso, e anche di alcune gerarchie ecclesiastiche. E’ stato, a volte, il segno del potere e della supremazia. Nonostante ciò, è stato anche il colore del peccato: il colore del Diavolo. Alla Chiesa bastò legare il genere femminile alla condizione peccaminosa per legare ad essa anche il colore rosso, tanto da far giungere la differenza fino ai giorni nostri in cui, al contrario dei maschietti con il blu, le neonate “femminucce” vengono designate con il rosa, che è poi un rosso degradato.

Insomma, i significati assunti dal rosso sono stati dei più vari ma una caratteristica comune li lega tutti quanti, ovvero quella di rappresentare una condizione che esce dai ranghi dell’ordinarietà e della normalità. Qualcosa che rompe con la regola e che può farlo in maniera positiva o negativa.

Opposto al rosso c’è il bianco che, oltre alle differenze di significato, presenta una storia alquanto diversa che l’ha visto rimanere in larga misura immutato nel tempo. L’unica differenza consistente a cui fare riferimento già da ora sta nel fatto che questo colore in alcuni contesti africani è il colore del lutto, della malattia e della morte.

Appare evidente che per noi è il contrario, e così anche per la maggior parte delle società del mondo. Il bianco è il colore della purezza e dell’innocenza, della rigidità di una norma giusta; è il colore chiaro della luce, anche questo elemento fondamentale dell’immaginario umano. E’ il colore della pulizia e non a caso la gran parte della biancheria che portiamo è proprio di questo colore. Il bianco è il colore della sposa (da notare il contrasto con la “femmina peccaminosa” rossa) e della purezza, della bandiera della pace. E’ per i cattolici, in ultima istanza, il colore di Dio (contrapposto al Diavolo).

Le differenze tra questi due colori sembrano talmente grandi da apparire come due punti posti esattamente nei due estremi opposti di uno spazio. La questione non è così univoca, nonostante la contrapposizione tra il bianco e il rosso sia fondamentale e, come abbiamo detto, sono due dei colori principali della classificazione cromatica. Forse la differenza che in ogni caso si presenta tra le due tinte sta nel rappresentare una volta qualcosa di unito e normativo, sempre uguale a se stesso (il bianco) e qualcosa che invece subisce un repentino cambiamento, un sussulto della norma (il rosso).

Nel prossimo articolo vedremo invece il confronto tra il verde ed il blu che, in molti casi, appare come un esempio analogo a quello appena descritto.