Il blu è sicuramente un caso particolare nell’intero spettro cromatico rispetto alle vicissitudini proprie agli altri colori. Prima di un certo periodo storico il blu non era considerato. Era il colore “meno colore” che ci fosse.

Il meccanismo interessante su cui porre l’attenzione sta nel fatto che questa tinta ha acquisito la propria identità a partire dal valore sociale che gli è stato attribuito nel tempo, e non per un valore percettivo/visivo che aveva nella vita quotidiana. Le tecniche sviluppatesi nel tempo per riprodurre le varie qualità di blu si sono sviluppate prettamente per la necessità sociale di utilizzare quel colore in quanto simbolo di status.

Come si diceva, in antichità il blu era poco considerato (basti pensare che per i romani il blu era il colore dei “barbari”). L’unica eccezione era rappresentata dagli Egizi, che legavano al colore significato di fortuna.

In Occidente, invece, le cose sono cominciate a cambiare da dopo l’anno Mille, in pieno Medioevo, con l’egemonia culturale pressoché incontrastata della Chiesa e del Cattolicesimo. Il blu divenne importante in relazione al fatto che era il colore delle vesti della Madonna.

La svolta fondamentale, però, che probabilmente costituisce la radice di significato che è giunta fino a noi si ha con la Riforma nel XVI secolo. Il blu infatti comincia ad assumere quei caratteri che mantiene ancora oggi, ovvero senso della sobrietà, dell’ordine e della moderazione. Non è un caso se con il passare dei secoli il blu ha assunto anche un’identità “melanconica” fino ad arrivare al blues afroamericano.

Parlando di verde, seguiremo la storia al contrario. Oggi questo colore è direttamente collegato alla natura, alla pulizia, a ciò che è sano e in armonia con il contesto, alla giovinezza e alla sanità. Un colore estremamente utilizzato da molti attori sociali, spesso a partire direttamente dalla volontà di rappresentare un certo contenuto ecologico (numerose multinazionali sono state le generatrici del fenomeno del “green washing”, appunto, volto a dare parvenze di ecosostenibilità alle proprie attività).

E’ con l’ecologismo degli anni Settanta-Ottanta infatti che si raggiunge questo significato ufficializzato del verde, in particolar modo con la strutturazione in quasi ogni paese del mondo dei “partiti verdi”. In realtà, però, il verde era stato collegato al concetto di Natura ancor prima, nel corso del Romanticismo che aveva interessato la cultura europea soprattutto nell’Ottocento. Prima di quel momento, la Natura era sempre stata rappresentata non con un colore, ma con la combinazione dei quattro colori degli Elementi.

Facendo un ulteriore passo indietro, ci accorgiamo di quanto, prima del Romanticismo, il verde costituisse una tinta da peculiarità ben differenti. Quando veniva riprodotta artificialmente, i coloranti tendevano o a “slavarsi” in poco tempo oppure ad acquisire proprietà velenosa. Per questo, il verde era non solo il colore legato al veleno ma il colore strettamente connesso con ciò che cambia, con ciò che è temporaneo e destinato a cambiare, se non a morire. A parte gli alberi sempreverde, le foglie non comunicherebbero in effetti una particolare longevità o continuità nel tempo.

In conclusione, si può notare tra il blu e il verde una relazione che, se non analoga, riprende molto la contrapposizione tra bianco e rosso dello scorso articolo. Il primo, il blu, è legato a qualcosa di non mutabile, in quanto rappresenta qualcosa di poco materiale e che rientra soprattutto nella sfera dell’immaginario astratto; il secondo, invece, mette in evidenza il proprio carattere di mutabilità e temporaneità, di “rottura” con una situazione precedente.