An unconventional history of photography, Loomen Studio, Roma

C’era una volta un piccolo continente che giocava ad essere il centro del Mondo. Gli abitanti di questo piccolo continente avevano da poco inventato le macchine a vapore, con le quali riuscivano a spostarsi da una parte all’altra del loro continente a una rapidità mai vista prima; avevano inventato degli enormi palloni che se riempiti di aria calda potevano portare un uomo su nel cielo, libero di librarsi come un uccello.

Prima dimostrazione pubblica del funzionamento dell'aerostato ad aria calda
Prima dimostrazione pubblica del funzionamento dell’aerostato ad aria calda

In tutto questo turbinio di invenzioni rivoluzionarie, il piccolo continente andava trasformandosi sempre di più: i paesi diventavano città, le città diventavano piccole metropoli industriali e il mito del viaggio che aveva da sempre accompagnato le fantasie dei suoi abitanti si realizzò improvvisamente con l’abbattimento dei tempi di trasporto.

Come delle piccole formiche impazzite, gli abitanti del piccolo continente iniziarono a percorrere distanze sempre più lunghe, con mezzi di trasporto sempre più moderni, in tempi sempre più brevi.

E così, mentre primordiali palloni aerostatici sorvolavano i cieli d’Europa, alcuni uomini iniziarono a sentire la necessità di invertire questo processo, di fermare il tempo e lo spazio in immagini statiche, perennemente immobili in un mondo sempre più in movimento.

Joseph Nicéphore Niépce è il classico alto borghese di fine Settecento, con idee rivoluzionarie e una cultura costruita sui libri. Dopo la Rivoluzione del 1789, Niépce si dedica alle invenzioni. Come tutti i suoi colleghi rimane affascinato, in un primo momento, dalla potenza del motore a vapore, nel tentativo di creare macchine sempre più sofisticate, sempre più rapide.

Inizia però anche ad affezionarsi all’uso della luce per creare immagini. Erano gli anni in cui si cercava di dare un senso al mondo circostante, in cui l’alchimia lasciava spazio alla chimica vera e propria e con dei semplici mezzi si riuscivano a ottenere strabilianti risultati.

Niépce inizia i suoi tentativi di fissare delle immagini su una lastra d’argento negli anni ’20 dell’Ottocento. Il procedimento a cui giunge dopo anni di studi teorici ed esperimenti pratici è relativamente semplice: cospargere la lastra con del bitume di giudea, per poi esporla in camera oscura per più di mezz’ora e da lì ottenere un’immagine al negativo dopo l’utilizzo di vapori di petrolio bianco.

Nel 1826 i suoi esperimenti si ritrovano su un binario morto. Già da qualche mese Niépce gira la Francia e l’Europa in cerca di finanziatori e collaboratori, in cerca di idee fresche per perfezionare la sua invenzione. Proprio mentre si trova in Inghilterra, viene contattato da un altro strano personaggio, di vent’anni più giovane di lui. Un pittore di modeste origini che ha trovato la sua dimensione nel dipingere scenografie per il teatro.

Niépce e Daguerre

Certo, Louis Daguerre non si era proprio limitato a questo, ma aveva anche lui intrapreso la strada dell’utilizzo della luce per creare immagini. Questa sua passione l’aveva portato pochi anni prima all’invenzione del diorama, che se da un lato gli aveva permesso di guadagnare qualche soldo in più, dall’altro aveva fatto crescere in lui la sete di ricercare qualcosa di nuovo, forse con la consapevolezza che la sua invenzione non avrebbe avuto una lunga popolarità.

A fornire al giovane Daguerre il contatto di Niépce è Charles Chevalier, probabilmente il miglior ottico di Parigi, da cui entrambi si servivano per acquistare lenti e altro materiale per le loro rispettive ricerche. Inizia così un fitto scambio epistolare fra Niépce e Daguerre sull’asse Parigi-Londra.

Daguerre è ansioso di conoscere tutte le scoperte fatte da Niépce, quest’ultimo invece è vittima di quell’ingenua voglia di diffondere le proprie conoscenze. Lo scambio è fitto, anche se spesso lo scambio di informazioni utili è solo unilaterale, vista la reticenza di Daguerre a mostrare le sue scoperte a uno sconosciuto.

I due s’incontrano di persona l’anno dopo, nel 1827, e creano la società “Niépce-Daguerre” con la quale Niépce, di gran lunga il più anziano dei due, tutelava i suoi discendenti garantendo loro la partecipazione diretta agli eventuali utili della società nell’eventualità di una sua prematura scomparsa (che in effetti avvenne il 5 luglio del 1833).

Prima però, ha il tempo di vedere la sua rudimentale invenzione essere messa a nuovo dall’entusiasmo del suo giovane collega. La lamina di argento passa dall’essere impregnata di bitume di giudea a un’essenza di lavanda che consentiva di ottenere immagini migliori e con procedimenti più rapidi. Il problema dell’essenza di lavanda era però ancora la nitidezza dell’immagine e i tempi di esposizione, ancora troppo lunghi.

Da lì, quindi, si procedette per tentativi, mischiando questo e quel prodotto, sperimentando tutto lo sperimentabile. Finché un piccolo cucchiaino non rimase dimenticato su una lastra. Nella sua amara solitudine il cucchiaino disegnò la sua immagine con maniacale precisione, un suo perfetto duplicato illusorio con cui intrattenere impossibili dialoghi. Il cucchiaino era casualmente appoggiato su uno strato di ioduro d’argento e quando Daguerre lo andò a riprendere notò che la precisione dell’immagine sulla lastra era migliore rispetto alle altre rivestite con diverse soluzioni.

Da quel momento, il trionfo. L’invenzione del dagherrotipo viene registrata all’Accademia delle Scienze di Parigi il 7 gennaio 1839 e immediatamente il governo francese ne acquista i diritti per l’utilizzo nelle funzioni pubbliche. La fama del dagherrotipo valica in breve tempo i confini francesi e grazie a un pratico manuale, scritto dallo stesso Daguerre e tradotto in varie lingue, spopola nel resto d’Europa.

Saranno anni di fama e prosperità per Daguerre e i discendenti di Niépce, ma in quegli anni anche altri geniali inventori erano alla ricerca di metodi sempre migliori per fissare le immagini. E anche il dagherrotipo, che agli occhi dei suoi genitori sembrava essere il passaggio conclusivo di un breve percorso, non era che il primo minuscolo passo di un interminabile cammino.